Articolo apparso sul Blog di ated-ICT ospitato su TIO
È il canale social sulla bocca di tutti da qualche giorno. Si chiama Clubhouse e arriva direttamente dalla Silicon Valley. Parliamo di un’applicazione che offre un servizio di chat audio, ovvero la possibilità di creare stanze in cui ascoltarsi e parlarsi, su temi specifici, in tempo reale. Nel descriverla, Carola Frediani, giornalista e cybersecurity awareness manager, ma anche autrice di libri sui temi della cybersicurezza e ideatrice della newsletter settimanale “Guerre di rete” osserva che: «va pensata come una app per partecipare a conferenze o tavole rotonde, o meeting di gruppo, tutto solo via audio. Stanze in cui ci sono degli speaker ma dove gli ascoltatori possono intervenire alzando virtualmente la mano».
Clubhouse in realtà è stata lanciata quasi un anno fa un anno con 2 milioni di utenti, ma ha incassato già 100 milioni di dollari di investimento dalla società di venture capital Andreessen Horowitz. L’applicazione made in San Francisco finora si è diffusa col sistema degli inviti e delle liste d’attesa. Sappiamo che questo è un meccanismo di marketing collaudato, che fa leva su senso di esclusività e scarsità indotta artificialmente. Ma negli ultimi giorni sembra puntare a espandersi sul mercato europeo, dove un buon numero di utenti sta entrando per affollarla, al ritmo di mezzo milione a settimana. Carola Frediani che l’ha testata ci dice che: «l’esperienza di utilizzo è molto funzionale e semplice, si apre, sono segnalati alcuni eventi/stanze, si possono calendarizzare quelli futuri, si può saltare in una stanza di quelle attive in quel momento, ascoltare, uscire in silenzio. Per ora c’è una prevalenza netta di inglese (più varie stanze tedesche, infatti in Germania sta andando forte, ma stanno iniziando anche quelle italiane). I temi che si incontrano di più, calcolando anche il bacino iniziale selezionato di utenti, sono soprattutto business, marketing, brand, crescita personale, futuro del tech, startup. È come prendere una vecchia chat IRC, iniettarci un audio di qualità podcast, spruzzarlo con un aroma di convegno, caffè e ciambelloni, risciacquando il tutto nei fiumi della Silicon Valley. Un po’ stucchevole, un po’ irreale. Ma, per ora, tecnicamente pulito e funzionante».
Un punto interessante riguarda, però, il tema della privacy e proprio Carola ha sottolineato in modo appuntito la questione. «L’app è anche un social, non solo perché per ora le persone sono invitate, ma anche perché ci si segue a vicenda, come in tutte le reti sociali. Per fare tutto ciò Clubhouse è estremamente insistente nel richiedere l’accesso alla rubrica telefonica. Si può negare ma solo con pervicacia e col risultato di non poter invitare nessuno (perché per invitare anche solo due persone vuole l’accesso alla rubrica, e non lo si può fare inserendo una mail). La richiesta mi ha colpito e sono andata a cercare un po’ in giro scoprendo che aveva colpito anche il garante per la protezione dei dati di Amburgo, Johannes Caspar. Secondo Caspar, Clubhouse non soddisferebbe i requisiti del Regolamento europeo sulla privacy (GDPR), in quanto la sua dichiarazione sulla protezione dei dati non terrebbe conti di tali requisiti, non verrebbe nominata una persona di contatto e in più l’applicazione obbligherebbe a condividere la propria rubrica con il servizio se si desiderano invitare altre persone, una funzione centrale dato che il servizio si basa su inviti, riferisce la testata tedesca Handelsblatt. E non è chiaro come vengano usati quei dati, scrive anche la tedesca DW. Vista la crescita degli utenti europei e italiani, sarebbe interessante vedere che ne pensano anche gli altri garanti».
Insomma, come tutti i club esclusivi, la selezione all’ingresso prevede che il gestore sappia molto di noi o che per lo meno osservi un po’ troppo da vicino la nostra rubrica di contatti e relazioni. Ovvero, un nostro patrimonio di dati che sarebbe giusto custodire con una certa attenzione.